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Enosim

 

2009 - In corso
 

C’è chi va in giro per le spiagge alla ricerca di graziose conchiglie o di sassi colorati. Thierry Konarzewski percorre avanti e indietro la sua isola, a qualche miglio dalla Sardegna, e va alla ricerca di incontri. Al pari di uno sciamano o di un antropologo, incontra tutta una popolazione di esseri strani, particolari, improbabili, dalle forme scolpite da venti ed onde. È il popolo dei bidoni, immensa tribù di tutti i recipienti che vanno alla deriva sui mari, in balìa delle correnti, e che al termine di una lunga circumnavigazione, come antichi abitanti della Polinesia, si sono infine arenati su di uno spuntone roccioso, Enosim, popolata dagli umani solo a partire dal XVIIIesimo secolo. Qui si è istallata questa folla di plastica, plasmata dal sale. Nei rigurgiti della società industriale gettati sulla sabbia, il fotografo ha visto gli spiritelli dell’oceano. E’ forse una bizzarria comune a tutti quelli che hanno ormai abbandonato le certezze del continente? Già a suo tempo, nell’ esilio di Guernesey, Victor Hugo ne aveva disegnati. Ed aveva chiamato queste divinità dei reietti ‘aucriniens’.

Sono quegli stessi mostricciattoli, corrosi dalle correnti, deformati dalle onde, rigonfiati di alghe che Thierry Konarzewski scopre oggi nascosti dietro ad un sasso o incastrati nella roccia. Sono venuti ad abitare a San Pietro, come una tribù pacifica, con lo sguardo rivolto all’infinito. Ed il fotografo sciamano va a trovarli. Sono diventati ormai intimi, nella solitudine delle camminate. ‘Toh! Sei ancora qui, tu?!’ butta lì talvolta ad uno dei suoi guerrieri dalla testa rotta, che l’aspetta in un angolo della spiaggia.
Così fra familiarità e ritualità continua il dialogo con questi bidoni che sono altrettante maschere di guerrieri usciti dall’Iliade o dal regno dei Mandinghi. Tutti questi Ulisse, arenatisi sulla spiaggia, sfiniti dal lungo viaggio di ritorno, sembrano meditare. Quali pensieri li assillano? Chi può raccontare ciò che queste forme scavate conservano della loro improbabile epopea? Sono proprio questi sussulti dello spirito che, da sciamano qual è, il fotografo cattura nelle sue immagini.

Chi è dunque questo fotografo? Uno sciamano, un antropologo o forse il sacerdote di un nuovo culto dei relitti, nei quali egli mostra volti, fantasmi o creature fantastiche? O forse è un investigatore del materialismo new age che come un erborista coltiva, raccoglie, classifica, nomina i bidoni in un vasto repertorio di oggetti senza valore? I progressi della neurofisiologia hanno permesso recentemente di individuare due aree distinte nel cervello umano, preposte l’una al riconoscimento della parola e dei segni, l’altra a quello dei volti. Attività che appartiene unicamente all’uomo. E che – al di là della funzione basilare che permette di distinguere le identità da particolari tratti di un volto – può anche far nascere vere e proprie apparizioni davanti agli occhi di chi è capace di personificare le cose e di intravedere volti negli oggetti. I pittori del Rinascimento ad esempio ne popolavano i paesaggi. Oggetti e soprattutto alberi furono per certi pittori ed illustratori come Segantini o Rackam, l’habitat infinito di mille visi. Con Thierry Konarzewski nasce un nuovo mondo di volti: e lui ci fa scoprire una tribù dalle espressioni meravigliose.

Sia come sia, ciascuno è libero di credere a queste apparizioni o di credere solo a ciò che vede: i riflessi cangianti della materia ed il luccichio delle cose. Ma questa doppia visione che abita le immagini di TK pone interrogativi sul nostro rapporto con l’immagine. Cosa vediamo? Vediamo veramente ciò che guardiamo o piuttosto vediamo qualcos’altro?

 

Thierry Grillet - Saggista

I nostri rifiuti hanno un'anima, sono di una bellezza pericolosa e ci sopravvivranno.

Sono sempre stato attirato dagli oggetti logori e rovinati; subisco un vero fascino per le stigmate del tempo.
Ed anche i rifiuti hanno una loro magìa particolare. I bidoni, questi oggetti quotidiani, privi di valore, trattati come tali dall’uomo, talvolta gettati senza neppure uno sguardo in mare, per incoscienza o pigrizia. Il loro vagabondare per i mari è un percorso iniziatico. Sballottati, impregnati di sale e di vento, incrostati di catrame, conchiglie e plancton, svuotati ed ammaccati, approdano infine sulle nostre coste, inerti, naufragati, sempre disprezzati. Degli Intoccabili. E tuttavia, hanno man mano subito una trasformazione. Sono diventati Entità Erranti, Guerriere, Marine… Da 5 anni, nelle mie camminate in riva al mare nell’isola di San Pietro, d’estate come d’inverno, le ho incontrate. Mi hanno parlato. Ho fotografato i bagliori della loro anima. Contenitori ormai inutili, si sono trasformati in contenuto. Ho visto il loro dolore, la loro nobiltà, le loro emozioni. Questo strano popolo mi ha trasportato lontano, in tempi molto antichi. 
Essi rimangono pur sempre dei pezzi di plastica, degli oggetti vuoti che ingombrano l’ambiente naturale: ho tracciato una mappa dei luoghi in cui li ho incontrati ed ho annotato la data di ogni incontro. Essi sono il frutto dei nostri gesti, lo specchio della nostra civilizzazione e la nostra futura memoria poiché essi ci sopravvivranno.

Thierry Konarzewski

Isola di San Pietro - Ottobre 2012


ENOSIM è il primo nome conosciuto, che fu dato dai Fenici all’Isola di San Pietro

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